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giovedì 5 settembre 2013

- LU CURDARU -

Molti mestieri, che una volta erano indispensabili e molto comuni, oggi sono scomparsi, perché l’industria del Nord li ha soppiantati. Uno di questi era “lu curdaru”.
Lu “curdaru” era l’artigiano che realizzava "corda, rumaneddu, e spagu", di varia lunghezza e grossezza. La materia prima utilizzata era “la stuppa” (la stoppa dal latino “stuppa”) cioè la fibra ricavata dalle piante di agave, canapa e lino.  
- La "Zabbara" (agave) è una pianta grassa tipica del clima mediterraneo; durante la civiltà contadina dalle foglie lunghe e carnose, si ricavavano filamenti molto resistenti "lu zabbarinu", con cui si otteneva
spago, corde di varie misure e la “curdina pi stenniri” per la massaia.
Con lo spago si riempivano "li funna di li seggi” (il ripiano per sedersi delle sedie). Inoltre, con le cordicelle opportunamente intrecciate a scacchiera, si ottenevano "li rituna", che servivano per trasportare la paglia.
- Per la pianta del lino, anche questa coltivata nel nostro territorio, ci sarebbe molto da scrivere, perché lunga e laboriosa era la sua lavorazione per ottenere la fibra; infatti, un proverbio siciliano diceva: “patìri li vai di lu linu”. Così, dopo la cardatura, per le varie lavorazioni successive occorreva molta acqua, fornita dai fiumi Delia, Modione e Belìce, che attraversano il nostro territorio.
- La canapa non si coltivava nelle nostre campagne, la fibra si importava. Dalle fibre di canapa si poteva ottenere pure un tessuto rustico “lu cannavazzu”, che serviva per confezionare sacchi.
Quando una persona non aveva carattere si diceva che era una “bannera di cannavazzu”. La stoppa, si usava come guarnizione idraulica, come miccia per le artiglierie e gli ordigni esplosivi; inoltre, come stoppino per “lu spicchiu” (lucerna) e per le candele.
Il “curdaru” svolgeva il suo lavoro all’aperto in piazze e spazi pubblici di periferia, perché aveva bisogno di
molto spazio, essendo le corde ottenute molto lunghe. Il suo lavoro era molto caratteristico e apparentemente semplice: un ragazzo faceva girare con una manovella una grossa ruota e questa a sua volta con dei collegamenti faceva girare velocemente delle piccolissime ruote con un uncino al centro (animmula); animmula era anche l’arcolaio della casalinga, che serviva per raccogliere il filo da una matassa verso il gomitolo. Siccome l’animmula gira velocemente, per paragone un proverbio diceva:. “Firria comu ‘n animmula” = gira molto veloce.
Il cordaio, incominciando dall’uncino, camminando all'indietro, andava cedendo le fibre che teneva sotto il braccio, che, per l'effetto rotatorio, si intrecciavano e diventavano corde, rumaneddu o spago. Un antico proverbio siciliano dice. "iri nnarrera comu lu curdaru" (andare indietro, in senso metaforico,  come il cordaio).

VITO MARINO



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