ultime

Cerca articolo

giovedì 14 aprile 2016

Gli italiani dormono sempre meno


Niente sonno per gli italiani. Le notti sono diventate piccolissime, i sogni sempre più scarsi. L’addormentarsi è una lotta, le notti ad occhi aperti sempre di più. È tutto un rincorrersi di luci che si accendono e si spengono senza pace.
IL PROBLEMA
Sono 9 milioni gli italiani con insonnia cronica e, visto l’andamento degli ultimi anni, sembra che il numero sia destinato a crescere. Dal 1965 ad oggi c’è stata una riduzione media di sonno giornaliera di circa 1,5-2 ore. Che, il giorno dopo, si traducono in stanchezza, deficit di concentrazione di memoria e disturbi dell’umore. E non basta. Una riduzione di sonno cronica, infatti, “aiuta” la crescita di casi obesità, diabete, ipercolesterolemia e depressione.
Il sonno, insomma, è diventato un vero lusso. «Dormiamo meno e peggio del passato – spiega Francesco Peverini direttore scientifico della Fondazione per la ricerca e la cura dei disturbi del sonno e autore del libro “È facile dormire se sai come farlo” (Bur) – Accade al 40% degli adulti e purtroppo al 70% dei bambini e degli adolescenti. Circa il 20% degli italiani soffre di un disturbo del sonno ma non è ancora accettata l’idea di rivolgersi a un medico per discuterne. Inoltre in molti, troppi, al risveglio, pur avendo dormito un numero considerevole di ore, sono invece ancora stanchi e il loro riposo notturno non ha dato i risultati sperati». Quelli che oggi vengono definiti i “poor-quality sleeper” ovvero il “dormitore di scarsa qualità” con problemi fisici e psicologici. Senza contare che la sonnolenza è responsabile del 20% degli incidenti stradali.
LE CAUSE
Perché il dormire sembra essere diventata una parte della giornata che si può sopprimere, compensare la notte dopo o anche evitare. Ignorando che quelle ore sono un vero bisogno fisiologico. I complici di questa trasformazione non si contano: dalla non consapevolezza del potere terapeutico del dormire alla tv, i tablet e le chiacchierate on line in piena notte. Quasi una mutazione nei comportamenti generazionali. Una volta erano i nonni che faticavano ad addormentarsi e la notte si trovavano a passeggiare in corridoio oggi sono i nipoti, sotto i vent’anni, che vegliano quasi fino all’alba. I “privati di sonno” come li bollano gli specialisti. Negli ultimi 4-5 anni i pazienti under 20 colpiti dall’insonnia sono quasi raddoppiati nei centri specializzati. 
«Se dieci anni fa erano meno del dieci per cento – riflette Luigi Ferini Strambi, direttore del centro di medicina del sonno dell’Ircc San Raffaele di Milano e presidente dell’Associazione mondiale dimedicina del sonno – oggi raggiungono quasi il venti. C’è chi non riesce ad addormentarsi, chi ha difficoltà a rilassarsi, chi si sveglia molto presto e non riesce più a riposare». E tra gli adulti almeno dieci su cento, ogni sera, devono prendere un farmaco per riuscire a riposare come si deve. Siamo a poco più di 6 ore e mezza a notte nella popolazione generale. Siamo lontani dai tempi consigliati. Dai 18 ai 64 anni, infatti, le ore dovrebbero essere 7-9. 
IL CERVELLO
«Nessuna demonizzazione verso la tecnologia – ricorda Peverini nel suo libro – Il “colpevole” è l’affaticamento visivo. Può attivare aree del cervello connesse con i centri del sonno e l’ipotalamo modificando il rilascio di molecole ed ormoni in grado di alterare il fisiologico ritmo sonno-veglia. Se la sera prima di dormire si usano troppo a lungo gli schermi retroilluminati, si riproduce lo stesso meccanismo che determina il jet lag. Un’abitudine che può far comparire o acuire un disturbo. È importante, per esempio, la velocità di aggiornamento della pagina». Una raccomandazione: interrompere qualunque attività impegnativa per il cervello almeno un’ora prima di andare a dormire.

Carla Massi

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti pubblicati non riflettono le opinioni di questo blog, ma solo le opinioni di chi ha scritto il commento che se ne assume le relative responsabilita'. Non saranno pubblicati i commenti che contengono elementi calunniosi o lesivi della dignita' personale o professionale delle persone cui fanno riferimento.