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giovedì 7 novembre 2013

Immigrati sfruttati con furti d’identità

    IL MERCATO DEGLI STRANIERI
 
Il fenomeno compare e scompare a fasi alterne, senza regolarità, come un fiume carsico che si porta dietro storie di sfruttamento e riesce, molto spesso, a sfuggire alle maglie dello Stato. L’Inps l’aveva già rilevato, con numeri non indifferenti, vedendolo poi abissarsi e rispuntare più volte: ci sono immigrati, quasi sempre irregolari, che lavorano sfruttando l’identità di altri immigrati. Stanno in cantiere, o in azienda, con fotocopie del codice fiscale o della carta d’identità di un loro connazionale. E la questione è duplice: a volte è lo stesso lavoratore che ruba l’identità del conoscente per potersi mettere al lavoro; altre volte, questo è il sospetto più grave, l’identità viene rubata su suggerimento di un’azienda, pronta a sfruttare al meglio la manodopera clandestina, dandole però un volto, un nome e un codice fiscale, per aggirare il più possibile i controlli. Sono gli ispettori dell’Inps a spiegare che più volte bisogna districarsi in una realtà difficile, in cui «un unico codice fiscale risulta associato anche a 10 dipendenti di aziende diverse.

Capire dove stia la realtà e quale possa essere il reato da contestare e da segnalare all’autorità giudiziaria non è affatto semplice. Era stato così anche per un immigrato morto sul lavoro a Treviglio nel 2005: aveva addosso documenti fotocopiati che non corrispondevano alla sua identità». Adesso però il fenomeno sembra riproporsi, almeno leggendo la recente denuncia che un immigrato boliviano, da tempo regolare e ormai in possesso della carta di soggiorno, ha presentato ai carabinieri: in suo favore sono stati versati contributi all’Inps da parte di due imprese con le quali non ha mai avuto a che fare. E in particolare, per almeno due annualità, quei contributi corrisponderebbero all’incirca al lavoro prestato per un paio di mesi, come se le aziende coinvolte avessero bisogno di sfruttare per un breve periodo una certa manodopera.
Ma perché versare i contributi ad un fantasma? Il sospetto degli esperti del settore è che, potendo sfruttare un immigrato a basso costo, all’impresa comunque convenga versare il dovuto all’Inps, per evitare che gli ispettori alzino le antenne e facciano scattare un controllo. Poi, però, il vero titolare di nome, cognome e carta d’identità, ha ricevuto una nota dall’Agenzia delle Entrate che lo accusa di aver omesso dalle dichiarazioni dei redditi il suo lavoro da dipendente per quelle due aziende. E tutto resta sulle sue spalle, nonostante il formale disconoscimento delle cifre richieste dal Fisco. Non è un caso, secondo l’ufficio stampa nazionale dell’Agenzia delle Entrate, che nell’arco di un anno, in provincia di Bergamo, si registrano anche più di 150 casi di cittadini immigrati che negano di aver prestato manodopera in determinate aziende, e quindi negano di aver mai ricevuto un Cud sul quale invece il Fisco chiede conto.
È la nuova frontiera dello sfruttamento degli immigrati? «Sicuramente tra le più difficili da comprendere e svelare - commentano dall’ufficio immigrazione della questura di Bergamo -. Bisogna capire che di fronte ad un fenomeno del genere anche procedere a indagini non è facile. C’è un’azienda che, anche se l’ha fatta sporca, può tranquillamente sostenere di aver assunto una persona “vera” che si è presentata con la copia dei suoi documenti. E c’è un lavoratore clandestino che probabilmente ha utilizzato l’identità di un’altra persona ma che, se non viene preso in flagranza (quindi sul luogo di lavoro, ndr ), non è certo identificabile come autore di quel “furto”. Come procedere, in molti casi, è davvero un dilemma. I nodi però vengono al pettine quando entra in azione il Fisco. Raramente capita che il cittadino immigrato possa avere un sospetto e venga a riferirlo in questura consentendo di svolgere indagini per tempo». Senza escludere un altro rischio, che in parte sembra essere emerso durante gli accertamenti sugli immigrati dopo la tragedia di Chiuduno, nella quale morirono la ginecologa Eleonora Cantamessa, che si era fermata a prestare soccorso, e un operaio indiano delle serre di insalata: in molti casi, hanno suggerito i sikh della zona di Gorlago, sono i lavoratori presenti in Italia da più anni a gestire a loro piacimento i documenti dei connazionali e a decidere, di volta in volta, chi può mettersi al lavoro
 
 
Fonte: corriere.it

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