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giovedì 14 febbraio 2013

" LA MURIA E LU SAPUNI"


LA MURIA E LU SAPUNI.
"La mùria vi canciu pu' sapuniiii" (la morchia vi cambio per il sapone). Questa frase era "abbanniata" (gridata a viva voce in mancanza di megafono), dai compratori di morchia, che giravano per le strade del paese con il carretto, nel periodo della molitura delle ulive. I compratori potevano essere dei commercianti o gli


stessi "sapunara" (produttori di sapone).
Fino agli anni '50-'60 era del tutto normale sentire gridare per le strade i compratori, che richiedevano prodotti dell'agricoltura locale come morchia, olio d'oliva, mandorle.

L'ulivo generalmente produce un raccolto accettabile ad anni alterni.

E’ consuetudine, per la gente dei nostri paesi produttori di olive, di farsi la provvista d’olio per due anni, nella “annata d’alivi” o “annata di carrica” (raccolto d’abbondanza), perché più a buon prezzo.

L’olio d’oliva uscito dal frantoio presenta ancora molte impurità, che con il tempo si separano e decantano nel contenitore. Nel nostro dialetto si indica come “funnurigghi”, ciò che resta nel fondo dei prodotti solidi, mentre si chiamano  “risidenzi (o risirenzi)” ciò che resta, dopo la decantazione, dei prodotti liquidi; pertanto la muria è la risirenza dell’olio.  

La morchia oggi è buttata via, ma l'industria chimica potrebbe riutilizzarla per l'estrazione d’altro olio o per la fabbricazione dei saponi; una volta nel nostro paese c'era una piccola fabbrica di sapone molle: la Ditta Sapienza, che utilizzava  queste impurità oltre ad oli guasti.

La muria era inoltre utilizzata nelle abitazioni per l’illuminazione; infatti, messa nello “spicchiu” (lucerna), produceva, tramite “lu mecciu” (stoppino di cotone) una fioca luce, considerata sufficiente per quei tempi. 

Durante la guerra del '40/45, era difficoltoso trovare il sapone per bucato a causa degli eventi bellici e per il prezzo troppo elevato. Le massaie, aguzzando l'ingegno, avevano imparato a fabbricarlo artigianalmente in casa utilizzando olio guasto o la muria  e grassi animali. La ricetta era la seguente:

- Acqua litri 3,5 + Olio litri  4 + grasso di animali   Kg.  3 + soda caustica   Kg.  1. Il tutto mescolato e fatto bollire per 5 ore.

Un’altra ricetta, che ho trovata scritta in “La taverna dell’arsenale” di Pietro Maniscalco, parla di morchia + cenere di scorza di mandorle (per la soda e potassa) con cinque ore di cottura; inoltre, per ottenere un sapone verde, si aggiungevano alla cottura pale di fichidindia.

Per fare il bucato a mano era molto usato "lu lisciuni", a base di soda caustica. La massaia, per risparmiare, produceva in casa un surrogato: "la liscìa", utilizzando  la cenere di legna, che è molto ricca di soda e potassa.

Allora, i lavaggi a mano erano eseguiti nella "pila", un apposito lavatoio di legno provvisto di "stricaturi" (strizzatoio) cioè di un ripiano provvisto di scannellature, su cui si strofinavano i panni. Il lavatoio poteva anche essere di pietra “lu pilacciuni” posto nel cortile comune, vicino al pozzo.

1 commento:

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