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domenica 3 novembre 2013

Vito Marino ci racconta un'altro Mestiere - LU NETTACESSI

LU NETTACESSI
Intorno agli anni ‘40 la stanza da bagno, per come l’intendiamo oggi, non esisteva. C’era in sua vece una rudimentale tazza, che finiva nel pozzo nero a dispersione scavato nel sottosuolo; in superficie c’erano dei conci di tufo murati a semicerchio con un buco al centro. In quelli più civili c'era "lu coddu d'oca", un rudimentale WC di terracotta smaltato, che si restringeva nella parte bassa e si scaricava direttamente, senza sifone, nel pozzo nero. La sua ubicazione generalmente si trovava in uno sgabuzzino nel cortile o in un magazzino.
In un chiodo appeso al muro si appendevano delle strisce di giornali o carte da pane: erano i precursori della
carta igienica; in un secchio c’era l’acqua, riciclata dalla cucina o dal "vacili" (bacinella per lavarsi), per buttarla nel cesso dopo l’uso.
Non dobbiamo scandalizzarci troppo se eravamo così in basso in argomento, ma i cattivi odori allora sconsigliavano di trattenerlo dentro casa.
Nei piccoli paesi agricoli c’era l’immancabile “catasta di fumeri” (concimaia) posta nel cortile di casa o nella “carrittaria” o in campagna, dove finivano i rifiuti della cucina, gli escrementi degli animali e... delle persone.
Di notte, per non uscire fuori, si usava “l urinali” (l'orinale) o "lu cantaru” (cantere o pitale) detto anche “sillittu o sillettu". Esso era fatto di terracotta smaltata e aveva quattro manici, per essere trasportato più facilmente. Esso si chiamava anche "siggettu", perchè a forma di "seggia" (sedia), con dentro "lu cantaru"; questa “sedia comoda” si può ancora trovare in bella mostra nei musei, nei palazzi e nei castelli dei nobili del passato. La sua invenzione risale al 1750. Nel romanzo il "Gattopardo" di Tomasi di Lampedusa si parla del cantere e nel film omonimo, nella famosa festa di ballo, in un’apposita stanza, facevano bella mostra diversi esemplari.   
Fra i mobili della "cammara" (la stanza da letto di una volta), c'era “la rinalera” (il comodino); detto così perché nella parte più bassa, dentro uno scomparto, chiuso da uno sportello, conteneva “lu rinali” (l’orinale) per la notte.
Nella storia delle invenzioni si legge che il “water closet” moderno fu inventato nel 1775 dall’inglese Alexander Cumminas; il sifone, di cui è provvisto, non lascia passare i cattivi odori. Da noi, questa tazza detta all’inglese, incomincia ad usarsi dentro le abitazioni dopo gli anni ’40 e collocata, all’inizio, in uno stanzino o in un sottoscala.
Volendo completare la storia del bagno di casa nostra, esso con il trascorrere del tempo ha assunto vari nomi: fu chiamato: "retrè", dal francese “reterer”, "la commira", perché  permetteva di sedersi (di stare comodi); “usu”, ma anche: “latrina” e “cessu”, dal francese “reducessé” .
Quando le fognature ancora non esistevano o si trovavano soltanto nelle strade principali, gli scarichi del gabinetto e di tutte le acque sporche finivano nel pozzo nero. Purtroppo, con il tempo esso si riempiva e diventava indispensabile lo svuotamento. In mancanza dell’autospurgo, di nuova generazione, si chiamava il “nettacessi”, che lo eseguiva manualmente e con l’ausilio di qualche recipiente manuale. Certamente si trattava di un lavoro umanamente poco gratificante, ma allora c’era sempre qualche persona disposta, per necessità economica, ad esercitare questo mestiere.
Il materiale recuperato diventava un concime molto richiesto per l’agricoltura.
La “vacilera”, mobiletto con “lu vacili” (bacinella), in possesso delle famiglie meno povere, in un primo tempo ha trovato posto nella “cammara” (stanza da letto); in seguito è stata collocata nello stanzino adibito a gabinetto. Questo mobile poteva essere fatto di ferro battuto o di legno con sopra una lastra di marmo, con il buco, per sistemarvi la bacinella. Nella parte sottostante c’era il posto per la “cannata” (recipiente per l’acqua), e un secchio per l’acqua sporca, da riciclare.

VITO MARINO


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