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sabato 15 dicembre 2012

Salemi, reazioni e retroscena dell'operazione "Mandamento". Così gli Angelo avevano messo su un impero.


Piazza Libertà é gelida e più ventosa del solito in questa giornata d’inizio inverno meteorologico.
 
Uno sparuto gruppo di persone, con il bavero alzato, staziona sull’ “ovu”, un piano rialzato con quattro alberi e altrettante scomode panchine.
Una sorta di rotatoria, attorno alla quale incessantemente transita ogni tipo di veicolo, persino tir e autobus. Quanto il traffico s’intasa, i clacson assordanti la fanno da padroni. Punto di ritrovo di pensionati e “disimpegnati”, ma anche di chi, con ostentato disincanto, crede di avere capito tutto della vita. Si fa presto a dire: fai un pezzo sulle reazioni della città. Oggi trovi bocche cucite ovunque. Dalle Alpi al Lilibeo, senza differenze di meridiano. Ci provo e mi avvicino al gruppetto per chiedere cosa ne pensano degli ultimi  fatti cronaca che vedono protagonisti alcuni concittadini. Mi guardano basiti. Danno a intendere di non capire. Sto al gioco e chiarisco di riferirmi all'operazione dei carabinieri che ha portato all'arresto di sei persone ritenute vicine al boss latitante Matteo Messina Denaro. Più precisamente al sequestro di due società, una delle quali è la Salemitana Calcestruzzi, che ha sede proprio a Salemi e il cui titolare è il concittadino Salvatore Angelo. Si guardano tra loro e non rispondono. Solo il più giovane apre bocca, ma ponendo a sua volta una domanda. “Perché, lei non lo sa, come stanno le cose?”, mi dice con un sorriso sornione, aggiungendo con veemenza: “La colpa è tutta di Sgarbi !” .Come mai, chiedo. Mi spiega subito che è uno di quelli interessati all’ energia verde, essendo proprietario di un terreno su cui dovrebbero essere installati alcuni moduli di un mega impianto fotovoltaico. Aveva anche sottoscritto un’impegnativa con un rappresentante della ditta esecutrice. Ma Vittorio Sgarbi si mise di traverso, dice. Niente eolico, e nemmeno fotovoltaico. Con la crisi dell’agricoltura sarebbe stata un ottima opportunità per assicurarsi una rendita ultraventennale. E continua dicendomi che si raccolsero centinaia di firme. Si costituì pure il Comitato “Pro fotovoltaico” presieduto da Guglielmo Catalanotto. Nella petizione si chiedeva un incontro col sindaco per discutere della realizzazione degli impianti fotovoltaici nelle campagne in base ad un mega progetto in attesa di essere definitivamente approvato. Del resto con le pale eoliche, prima che venisse Sgarbi, a molti agricoltori non era finita bene e nessuno aveva fiatato? Stavano installando i “mulini a vento” impunemente persino in prossimità del sito archeologico di Monte Polizo. Nessuno mosse un dito. Tranne la commissione consiliare che inviò le carte in procura.
 
 
 
Ora questi del “pro-fotovoltaico” chiedevano al Comune di essere favorevole alla agro-energia che avrebbe potuto dare, secondo loro, “una boccata d’ossigeno al settore dell’agricoltura che da parecchio tempo versa in una crisi da cui non riesce a venire fuori”. Si tenne anche una assemblea pubblica in un albergo cittadino con la presenza del sindaco. Volarono parole grosse in quell’occasione. La contestazione fu così violenta da costringere Sgarbi ad abbandonare la riunione. Il critico ferrarese dirà poi che il tutto era stato orchestrato da Pino Giammarinaro per creargli difficoltà nel sua battaglia contro ogni forma di impianti di energia alternativa ritenuti oltraggiosi per il paesaggio. Ma anche perché dietro c’era la mano della mafia. Che ci fossero interessi poco puliti, in verità, avrebbero dovuto denunciarlo altri politici che del territorio conoscono uomini e cose. Non era necessario di essere dotati di grande acume per sospettare che qualcosa non filava per il verso giusto. Come fosse possibile, ad esempio, che delle grandi ditte, alcune addirittura del Nord Europa, avessero dei referenti in loco un personale non proprio adeguato. Qualche perplessità avrebbe dovuto suscitarla in chi avrebbe dovuto essere vigile. Ed invece nulla. Si preferì lasciare l’esclusiva della denuncia al ferrarese. Sul piano politico locale, un fatto è certo. La presa di posizione di Sgarbi segnò l’inizio del declino del consenso di una gran parte di chi lo aveva votato. Accade sempre così, quando in ballo ci sono interessi economici concreti. La questione dell’energia alternativa vista dalla parte di chi nell’affare avrebbe avuto le briciole, ma provvidenziali per una categoria in agonia. Il perché della dimensione della contestazione assunta sta tutto qui. Esempio plastico di quando interessi della mafia, dell’industria e di una parte del popolo coincidono perfettamente. Sgarbi fiutò il pericolo di essere isolato e tentò di ricucire lo strappo. In un articolo del Giornale di Sicilia a firma di Celeste Caradonna si raccontava che “nel corso della seduta straordinaria e aperta del consiglio comunale di Salemi, tenutasi l’altro ieri sera il presidente del Consiglio, Giusy Asaro ha proposto al presidente della seconda commissione consiliare, Giuseppe Robino, di promuovere degli incontri con i componenti il “Comitato pro fotovoltaico” e i cittadini per discutere delle problematiche inerenti il fotovoltaico a Salemi e, contemporaneamente ,cercare di addivenire a una soluzione, sostenendo delle iniziative che potrebbero tornare utili alla causa.” In quell’occasione ai lavori prese parte il sindaco Vittorio Sgarbi. Fatto eccezionale. Quando arrivò in aula con un paio d’ore di ritardo si giustificò rivelando di essere stato “impegnato in un giro cittadino dei siti per i quali i proprietari hanno richiesto l’autorizzazione per installazione del fotovoltaico”. Chiarendo di “essere d’accordo alla realizzazione degli impianti fotovoltaici nella zona industriale della città o nelle abitazioni private del nuovo centro di espansione”. Ci fu pure una delibera della Giunta nella quale s’invitava gli uffici ad esprimere parere favorevole per la predisposizione di impianti fotovoltaici sui tetti del centro abitato, ad esclusione di quelli del centro storico; sulle serre preesistenti, sugli edifici pubblici, sui capannoni industriali ad oggi esistenti, sulle stalle e sugli edifici di ricovero dei mezzi agricoli. Rimaneva però il parere negativo per l’istallazione di impianti fotovoltaici a terra. Insomma un tentativo di compromesso, ma che non portò ad alcun risultato concreto. E mentre tutto ciò accadeva proseguivano il loro corso le indagini iniziate nel lontano 2007, un anno prima dell’elezione di Sgarbi a sindaco di Salemi. In questi giorni le conclusioni con gli arresti e con la divulgazione dell’impianto accusatorio. Una inchiesta di grande spessore, denominata “Mandamento” che si è avvalsa anche di intercettazioni ambientali e telefoniche, che ha portato alla scoperta dell'esistenza dell’organizzazione mafiosa che controlla il business dell’energia verde. Dalla lettura dell’ordinanza del Gip della DDA di Palermo si apprende che essa era articolata in una sorta di suddivisione del lavoro. L’aspetto burocratico e delle pubbliche relazioni sarebbe stato curato ad Santo Sacco, ex consigliere comunale della DC di Castelvetrano, promosso dopo consigliere provinciale in quota Cristaldi del PdL. Mentre l'esecuzione dei lavori sarebbe avvenuta attraverso una rete di società controllate dal salemitano Salvatore Angelo. Presente nelle tre provincie di Trapani, Agrigento e Palermo. E precisamente nei parchi eolici di "San Calogero" di Sciacca, "Eufemia" di Santa Margherita Belice, Contessa Entellina, "Mapi" di Castelvetrano e Montevago. Ma anche in quello fotovoltaico di Ciminna, in provincia di Palermo. Un personaggio molto noto a Salemi Salvatore Angelo. Tra l’altro perché assurto alla cronaca, assieme al figlio Andrea (anch’egli arrestato in questa occasione, per il possesso di 150 grammi di purissima cocaina) , appena un anno addietro, per una altra operazione di polizia giudiziaria denominata “Artù” avviata dalla Dda di Reggio Calabria, a firma dei procuratori Pignatone e Gratteri. Una strana e singolare inchiesta che ebbe inizio, scrive Giacomo di Girolamo nel suo ultimo libro Cosa Grigia, “in seguito al sequestro, nel settembre 2009, di un un certificato di deposito (in oro) emesso dal Credit Suisse per un importo di 870 milioni di dollari per il quale furono denunciate due persone ritenute vicine alla cosca dei Fazzalari - Viola - Avignone. Il certificato di credito era stato aperto nel 1961 e intestato a mister "Sukarno", dittatore dell'Indonesia dal 1945 al 1967 e scomparso nel 1971. Il titolo fu trovato nell'auto su cui viaggiava Nicola Galati, 53enne originario del vibonese, che dall'Emilia Romagna stava giungendo in Calabria. Dalle intercettazioni telefoniche era emerso che erano state intavolate diverse trattative per la negoziazione, con istituti bancari sia Italiani, come il Banco di Sicilia, sia esteri come Ing Direct, Unicredit, Monte dei Paschi di Siena e la stessa banca vaticana Ior. Per riciclare quella montagna di dollari le 'ndrine reggine avevano chiesto aiuto alla mafia siciliana, a cosa nostra di Alcamo. E così tre siciliani, Antonio Drago di Altavilla Milicia (Palermo), Salvatore Angelo di Salemi (Trapani) e Andrea Angelo di Alcamo (Trapani) si sono presentati in una filiale del Banco di Sicilia per negoziare il certificato. Stavano per riuscire a rendere il titolo «collaterale», come si dice in gergo bancario, per utilizzarlo a supporto di altre operazioni o a garanzia, quando la Guardia di finanza di Reggio Calabria lo ha sequestrato.” Nella retata dei giorni scorsi condotta dai Carabinieri di Trapani e coordinata dalla Dda di Palermo sono stati fermati oltre ai due Angelo, padre e figlio, e Santo Sacco anche i salemitani Gaspare Casciolo e Paolo Rabito, Forte Paolo, Italia Antonina, Murania Girolamo Calogero, Nastasi Antonino, Spallino Antonino, Spallino Raffaella, Villa Gioacchino tutti di Castelvetrano e Pizzo Salvatore, di Terrasini. Ma i protagonisti sembrano essere Sacco e Angelo. Entrambi sono quelli che citano a più riprese il nome del super latitante Matteo Messina Denaro, qualificato come loro “compare”. Sul piano antropologico mostrano di avere due diverse personalità. Sorprende infatti il linguaggio usato da Sacco. Dalle intercettazioni viene fuori un personaggio che non usa mezzi termini con gli interlocutori concorrenti. Fa maggiormente impressione se si considera che si tratta di un sindacalista dell’Uil e di un politico di lunga carriera. Esemplare l’episodio in cui lo si sente chiedere all’imprenditore di Salemi Melchiorre Saladino 100 mila euro per “convincere” i colleghi consiglieri comunali di Castelvetrano a votare la delibera relativa ad un insediamento di impianto eolico al quale il salemitano era interessato per conto di una altra azienda concorrente. Si ricorderà che anche Saladino circa due anni addietro fu tratto in arresto proprio per commistione tra mafia e impianti eolici. Anche in quella occasione c’era di mezzo un altro consigliere comunale, ma di Mazara del Vallo. L’ex consigliere Sacco infatti, a fronte delle resistenze di Saladino, che nicchiava sulla somma richiesta, non esitò a sfoderare la terminologia classica ascoltata nel film “Goodfellas” di Scorsese e che certamente non è adeguata ad un politico di buone maniere, quanto meno: “Minzione questa presa in giro ve la faccio finire subito… a te, all'ingegnere, a tuo figlio e tutti quanto cazzo siete ci siamo capiti? stai attento Melchiorre!”. Al contrario, Salvatore Angelo, che ha il compito di portare sotto il controllo di Cosa nostra trapanese l’”affare” di 60milioni di euro da creare nel catanese, dopo essere stato rassicurato da Salvatore Pizzo di Terrasini, il tecnico di riferimento della danese “Baltic Wild”, che la percentuale del 10% richiesta da Matteo Messina Denaro sarebbe stata rispettata, appare in un’altra intercettazione come un pacioso padre di famiglia preoccupato per il futuro dei figli. Lo fa parlando con un anziano capo mafia di Gibellina, Vincenzo Funari: “cu sti danesi (Baltic wind ndr) la cosa è lunga è una cosa statale una cosa importantissima, la sto seguendo mi deve credere come un figlio, cento cristiani ci vanno impiegati docu le biomasse sono importanti trent 'anni ci si può campare, basta che imposto tutti i miei figli”. Fermo restando che gran parte dei proventi degli affari veniva riversata all'associazione mafiosa, in modo particolare al latitante Messina Denaro, ai detenuti e alla loro famiglie nonché ai sodali tornati in libertà dopo periodi di detenzione. Dal momento che quella di questi giorni non è la prima inchiesta che ha portato alla luce lo stretto connubio che si è instaurato tra mafia e l’affare dell’energia verde, troviamo davvero stupefacente come sia accaduto che anonimi e poco qualificati personaggi siano potuti diventare i referenti di aziende di prestigio aventi spesso la sede legale nel Nord Italia ed Europeo. Con tutto il rispetto per le persone coinvolte, ma stentiamo a credere che sia tutta farina del loro “sacco”.

Fonte: Marsala.it
Franco Lo Re

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