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sabato 12 ottobre 2013

LU RRIMUNNATURI. racconto di Vito Marino

Nelle nostre campagne attualmente prevale la coltivazione dell’ulivo, perché fino a pochi anni fa rendeva più delle altre colture. Oggi l’olio e l’oliva da mensa, prodotti da questa pianta meravigliosa, non rendono più e molti uliveti restano incolti ed abbandonati.
In questo argomento faccio riferimento alla “rimunna” (potatura) dell’ulivo.
Molti contadini “rimunnatura” (potatori), sia pur pagati con bassi salari, con la “rimunna” trovavano occupazione per diversi mesi l’anno.
Nel passato, diciamo fino agli anni ’50, la squadra che eseguiva questo
lavoro, era chiamata impropriamente "coppia"; essa era formata da sei "rimunnatura" più un "capuccetta" (capo d’accetta = capo squadra).
Il capuccetta era il potatore con più esperienza; anche lui aveva un filare d'ulivi da potare, ma quando sorgeva qualche dubbio fra gli altri potatori, su come comportarsi sul taglio di un ramo, lui doveva lasciare il suo lavoro e decidere, in maniera insindacabile, su come operare. Costui, inoltre, doveva contabilizzare, al proprietario del fondo, il numero degli operai impiegati e le giornate di lavoro eseguite; doveva, inoltre, contabilizzare anche la quantità di legna ricavata dalla potatura.
A tal proposito, essendo regolarmente analfabeta, adottava un sistema contabile arcaico, ma molto efficiente: teneva nella cintola un rametto d'ulivo su cui faceva un segno col coltello per ogni "cavaddunciu" già pronto.
Un “cavaddunciu” era formato da 10 "mazzi di ligna" (fascine di legna). Ad ogni fine giornata il “capuccetta” contava le tacche segnate, che corrispondevano ai mucchi di legna, e faceva la consegna al proprietario terriero.
Nelle grandi estensioni di uliveti occorrevano più potatori, pertanto si formavano tante squadre. Per ogni due “coppie di rimunnatura” c'era un "capu d'arti", che sovrintendeva a tutto il lavoro di potatura; costui in sostanza era il tecnico fiduciario del padrone, spettava a lui decidere il sistema di potatura da adottare per quell’annata agraria: “normali, stritta o china” e rendere conto della qualità di tutto il lavoro.
Gli attrezzi di lavoro, oltre alla scala a pioli, erano: una sega ad arco e “lu ccittuni” per i tagli più grossi eccezionali, “l’accetta a du manu” per i tagli medi e l’accetta normale per tutti gli altri tagli; a quei tempi non c’erano ancora le forbici e neppure la sega a scoppio; pertanto si faceva molto consumo di  “olio di gomito”!!!.
In ogni coppia c'era pure una "pecora": un contadino, chiamato così scherzosamente, perché andava sempre dietro i potatori per completare il lavoro.  Egli aveva la funzione di raccogliere e selezionare la legna tagliata dagli alberi durante la potatura. Egli doveva separare i tronchi dal “braccame” (rami) e dal "frascame" (rametti col fogliame), che doveva legare a "mazzi di ligna" (fascine) con le "liame" specie di corde ricavate dalle foglie di “zabbara” (agave).
Le fascine a quei tempi erano importantissime, poiché erano il combustibile più usato e più economico sia per l'artigianato che per gli usi domestici. Il proprietario con il ricavato della vendita di tronchi, rami e fascine recuperava le spese della potatura; oggi, invece, con la civiltà consumistica si paga un operaio, per bruciare sul posto tutta la legna.
Gli uliveti di una volta piantati a filari molto larghi, per essere più arieggiati ed evitare malattie alle piante, ma anche per potere coltivare il terreno con piante erbacee (ortaggi, legumi, frumento) ottenendo così due produzioni.
Quando un terreno si dava in affitto o a mezzadria, si doveva specificare se si trattava di “sutta” o “supra” o di entrambi, come se si trattasse di due poderi distinti. Quando “lu sutta” non si coltivava, per fare riposare il terreno, il podere si dava a pascolo percependo un compenso. VIDEO


VITO MARINO


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