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giovedì 28 marzo 2013

Salemi, c'erano una volta le cene di San Giuseppe

Dalla notte dei tempi e fino agli anni settanta, alla vigilia dell’esplosione della Primavera con tutti i suoi colori, sapori e odori, in alcune case, prevalentemente del popolo,venivano allestite le cosiddette “Cene addumannate” di San Giuseppe.
Una delle tante usanze e celebrazioni cristiane sovrapposte a precedenti rituali pagani. Questa del padre putativo del Cristo, coincidendo con l’equinozio primaverile, s’innestò felicemente ad una festa pagana con la quale s’invocava la madre delle messi per propiziarsi un raccolto abbondante. Grazie alla devozionalità medievale di famiglie benestanti, forse per esorcizzare carestie o per scongiurare le porte dell’inferno, a causa di ricchezze acquisite non sempre limpidamente, venivano allestite delle “tavole” alle quali venivano fatti sedere tre poveri autentici. La personificazione vivente della Sacra Famiglia. Ad esclusione della carne, un vero e proprio trionfo del cibo e soprattutto del pane. Con il passare del tempo, da rito contadino ricco di simbologia propiziatrice, la ricorrenza si trasformò in una manifestazione singola di ringraziamento per una grazia ricevuta o invocata. A cui però partecipa l’intera comunità, sia sul piano economico sia come prestazione d’opera.Un mix di folklore e ritualità, espressione di religiosità forse autentica. Spontanea, senza dubbio. Ma densa di valore antropologico. Indirettamente un messaggio di solidarietà e fratellanza. Valori spesso dimenticati. Ma come si è arrivati alle “moderne” Cene per grazia ricevuta? Un esempio, per capire meglio. La tradizione popolare orale ci narra di un agiato “burgisi”, che, dopo avere consumato l’“agghia” (una sorta di energetico antipasto mattutino), venisse disarcionato da una giumenta imbizzarrita, mentre scendeva lungo il quartiere della Catena nei pressi del convento del Carmine. Soccorso e adagiato su una scala a pioli, viene trasportato a casa e curato dal medico di famiglia. La moglie, preda dell’angoscia, si affida a S. Giuseppe per una grazia. Dopo avere acceso le candele davanti all’immagine dello sposo di Maria, promette "una Cena addumannata di porta in porta". Sebbene ricchi, promette cioè di chiedere (“addumannare”) l’elemosina di casa in casa, ripetendo a mò di litania il ritornello “San Giusippuzzu, ci dati nenti ..?”. E così uova, farina, grano, promesse di pietanze finisce nella "mmesta", un sacco che portava con sè. Così come anche i centesimi, ricevuti come obolo, vengono custoditi nel borsello di cuoio. Ai primi di marzo la sua casa viene invasa dalle vicine che hanno promesso aiuto, impastando quintali di pane, lavorarlo abilmente e preparare il forno. Mentre gli uomini si occupano di montare, adornare e decorare l’altare. Tutto il lavoro si svolge in piena armonia. E così di anno in anno, fino a diventare a Salemi, un vero e proprio “boccascena barocco”, in cui trionfano i pani, artisticamente decorati, coronati di rami di alloro e di mirto. Le tavole, trasformate in veri e propri altari votivi, traboccano di cibarie, di frutta, di dolci. Un rito che si rinnova ogni anno. Così come sì è magicamente ripetuta quest’anno in casa dei coniugi Nicolò Favara e Vita Maria Ferrante. Una quarantina di volontari hanno prestato la loro opera per una settimana, lavorando artisticamente 300 chili di pani e cuddureddi, preparando 150 pietanze per tutti gusti e tutti i palati, cucinando diversi chili dei tradizionali spaghetti con mollica e zucchero. Unica, ripetiamo, unica Cena Votiva ( nella foto) per questa edizione 2013. Le altre invece tutte a cura di Associazioni e della Pro-Loco, ad uso e consumo dei turisti pervenuti in Città. E tuttavia quella della famiglia Favara&Ferrante non ha potuto godere dell’attenzione che avrebbe meritato. Non è stata segnalata dalle hostess che accompagnavano i forestieri. A dircelo è il signor Favara che sottolinea con rammarico come ormai sia caduta ogni tensione devozionale. “Le Cene- dice amaramente- sono ormai divenute una speculazione. I Pani vengono anche venduti. Noi invece li abbiamo donati a tutti quelli che sono venuti ad onorarci. Perché quelli della Pro Loco non ci hanno dirottato i turisti? Forse perché viviamo in periferia e in un quartiere popolare, lontano dal Centro Storico?”. All’inizio avevamo accennato agli anni settanta come punto di svolta. In effetti fu in quegli anni che le Cene di Salemi salirono sulla ribalta nazionale e internazionale. Merito senz’altro del dottor Francesco Bivona, presidente della pro‑loco di allora e dell’A.P.T. di Trapani. Con una mirata operazione pubblicitaria studiosi, giornali e televisioni cominciarono a interessarsi dell’avvenimento. Fino a diventare, con alti e bassi, uno degli appuntamenti più importanti fra gli eventi che si svolgono in Sicilia. A farne le spese però è stato lo spirito originario che era, è bene ricordarlo, la costruzione di un maestoso e opulento ex-voto ma per grazia ricevuta o da ricevere e non con contributi comunali. E’ il motivo che ha indotto il prefetto Leopoldo Falco a ridurli e portarli dalla spesa media degli ultimi anni di 32mila euro, con la punta massima di 40mila durante la giunta Sgarbi, ai 23mila di quest’anno? Anche questo forse è il segno dei tempi. Non a caso hanno eletto un Papa di nome Francesco.
Franco Lo Re

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