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sabato 30 aprile 2016

Visite in tre ospedali, poi muore incinta assieme ai gemelli

Emorragia al sesto mese. Cesareo inutile. La vittima, 37 anni, si era sottoposta alla fecondazione assistita. La tragedia è avvenuta alla clinica Mangiagalli.

Stavolta la tragedia è avvenuta nel tempio dell’ostetricia italiana. Dopo visite mediche ripetute in ben tre ospedali. Giovedì intorno alle due del pomeriggio alla clinica Mangiagalli di Milano è morta Claudia Bordoni, alla 24 esima settimana di gravidanza. Originaria di Grosio in Valtellina, milanese d’adozione, 37 anni, manager in campo assicurativo, ancora nessun figlio, il suo sogno era di diventare mamma. Grazie alla fecondazione assistita era riuscita a restare incinta di due gemelli. Morti nella sua pancia assieme a lei. Sei mesi passati a entrare e a uscire dagli ospedali. Il San Raffaele, dove si è sottoposta alla Pma e ha eseguito numerosi controlli. Busto Arsizio, dove si è rivolta al Pronto soccorso. Infine la Mangiagalli, dov’era ricoverata nel reparto di Patologia della gravidanza da 36 ore.

Minaccia di aborto

Il problema ricorrente era la minaccia di aborto, il rischio di perdere quei due bimbi desiderati a lungo. Per metterli al sicuro, Claudia non ha mai esitato a rivolgersi ai medici all’insorgere di ogni minimo dolore e perdita di sangue. Solo in Mangiagalli era stata visitata almeno cinque volte. Eppure giovedì è stata trovata agonizzante nel letto dell’ospedale, dove è morta vomitando sangue. I medici hanno cercato di salvare i bebè con un cesareo d’urgenza che non è riuscito.

L’indagine

Il papà della donna, un ricercatore universitario, ha presentato un esposto alla magistratura per fare chiarezza sulle cause del decesso. La Procura ha aperto un’inchiesta. Sono già state sequestrate le cartelle cliniche. Nelle prossime ore sarà effettuata l’autopsia.

Una morte di parto è sempre sconvolgente, al di là delle statistiche che la considerano un evento raro, ma purtroppo non inevitabile: in Italia muoiono ogni anno di parto 50 donne, anche se il dato è considerato tra i più bassi a livello europeo (il tasso medio di mortalità nei Paesi industrializzati è di 12 vittime ogni 100 mila parti). Quest’ultimo decesso, però, è più sorprendente di altri perché avvenuto nella fabbrica dei bambini d’Italia dove ogni anno vengono al mondo 6.500 neonati. La Mangiagalli è considerata uno dei punti nascita più sicuri a livello nazionale. Qui non c’è nessuna delle criticità che di solito espongono le donne a maggiori rischi, a partire da un possibile numero limitato di parti svolti all’interno della struttura (sotto le 500 nascite l’anno la sicurezza diminuisce drasticamente).

«Fiducia nell’operato dei medici

Non solo: la donna era stata appena ricoverata per una settimana, dal 13 al 21 aprile, al San Raffaele, altro ospedale top della Lombardia. Il 25 aprile si era di nuovo rivolta al Pronto soccorso dell’ospedale che fu di don Verzé. E due giorni fa aveva chiesto aiuto alla Mangiagalli. «Siamo tutti vicini alla famiglia in questo momento di gravissima perdita, così come siamo accanto alla nostra squadra di esperti per dare loro tutto il nostro appoggio — scrive in una nota l’ospedale —. Abbiamo piena fiducia nell’operato dei medici e delle ostetriche, che hanno reso la Mangiagalli uno dei migliori e più sicuri punti nascita d’Italia. Non a caso la donna ci era stata affidata da un’altra struttura, proprio perché siamo punto di riferimento per gravidanze in cui sono possibili complicazioni. È stata avviata immediatamente un’indagine interna per ricostruire ogni dettaglio della vicenda e i nostri operatori hanno sin da subito dato la loro piena collaborazione alla magistratura per tutti i rilievi del caso». 

L’ipotesi più probabile è che la donna sia morta per un’emorragia gastrica, provocata da chissà cosa. Possibile che nessun medico, nelle numerose visite a cui la donna si è sottoposta in ben tre ospedali, si sia accorto che qualcosa non andava? Per sapere che cosa è successo è necessario attendere l’esito delle indagini e i risultati dell’autopsia: «Bisogna capire se questa tragedia rientra in quei casi, per fortuna pochissimi, in cui la medicina non è purtroppo in grado di evitare l’inevitabile».





Simona Ravizza
Fonte Corriere.it


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