La preoccupazione non è legata solo al fatto che le trivellazioni sarebbero
effettuate in un’area sismica (anche se il legame tra le tecniche di ricerca petrolifera e i terremoti non sono state scientificamente provate, rimane comunque il dubbio), quanto al fatto che con l’avvento delle trivelle si affermerebbe nel Belice un modello di sviluppo che è antitetico rispetto a quella che è la vocazione di un territorio che possiede ricchezze ambientali, archeologiche, naturalistiche, e che su queste ricchezze ha scommesso, ampiamente investendo nel corso degli ultimi anni.
effettuate in un’area sismica (anche se il legame tra le tecniche di ricerca petrolifera e i terremoti non sono state scientificamente provate, rimane comunque il dubbio), quanto al fatto che con l’avvento delle trivelle si affermerebbe nel Belice un modello di sviluppo che è antitetico rispetto a quella che è la vocazione di un territorio che possiede ricchezze ambientali, archeologiche, naturalistiche, e che su queste ricchezze ha scommesso, ampiamente investendo nel corso degli ultimi anni.
Un territorio che si basa peraltro su un delicato equilibrio, un equilibrio in cui l’agricoltura fa da garante. Ritenere che questa agricoltura d’eccellenza, con i suoi prodotti di nicchia, possa coesistere con l’oro nero, è pura eresia.
Così il turismo: è pensabile che un territorio nel quale imprenditori che puntano sul turismo hanno investito enormi risorse economiche, possa coesistere con le strutture messe su per le trivellazioni?
Ovvio che no. È per questa ragione che occorre vigilare e predisporsi ad intraprendere tutte le battaglie utili ad evitare il rischio della deturpazione della Valle. Proprio ora che, 45 anni dopo il terremoto, gli sterili piagnistei hanno lasciato spazio alla programmazione.
Tratto da un editoriale di Gaspare Baudanza
Fonte: Belice c’è
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