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lunedì 9 maggio 2016

Maniaci, i dolori dell'antimafia, e quel bruciore fitto, fino al centro dello sterno....

Un bruciore fitto, fino al centro dello sterno.
Regnano la confusione e la paura, dopo che il giornalista antimafia più famoso al mondo, Pino Maniaci, è stato raggiunto da un divieto di dimora in Sicilia Occidentale, perché è indagato per estorsione. I particolari li conosciamo tutti. E ci sono queste intercettazioni terribili, terribili. E il pizzo sulle magliette, e i soldi sottobanco per pagare l'affitto di casa, e l'amante sistemata al
Comune, e lo sputtanamento dei "nemici" nel telegiornale.
In tanti mi chiamano. Mi chiedono, si sfogano. Perché io ho scritto questo libro qua, “Contro l’antimafia”, un libro doloroso, che mi costa querele, inimicizie e attacchi a go go. E allora c’è chi mi dice: avevi previsto tutto. O c’è chi dice: ecco, ora il distruttore dell’antimafia potrà ancora delirare un altro po’.
Deludo entrambe le categorie. Io non avevo previsto un bel nulla. E in questo momento provo solo dolore e paura.
Per essere più precisi, perché di precisione abbiamo bisogno, di esattezza, di chiamare le cose per nome, oggi più che mai, è un bruciore fitto, fino al centro dello sterno.
E’ il bruciore lo sapete cos’è? La coscienza che è tutto finito.
L’antimafia è finita, questa antimafia, per come l'abbiamo conosciuta, costruita, o raccontata. E' finita. Lo dico soprattutto dal punto di vista narrativo, di sequenza logica dei fatti. Mai avrei pensato, mai, che un giorno, il mio essere “antimafioso” sarebbe dipeso da alcune domande: ma 466 euro sono un’estorsione? E' poco?  E qual è il valore minimo di un’estorsione? Perché all’improvviso i carabinieri fanno video che neanche nelle serie su Sky hanno questo montaggio qui? E Antonio Ingroia iper garantista che parla come gli avvocati che lui fiero combatteva poco tempo fa, che critica chi fa le intercettazioni, non è anche questa la fine dell’antimafia? E che vicenda sporca è mai questa? E’ come quella di Saguto, come quella di Montante. Mille ragioni, mille verità, un grande disorientamento.
Un bruciore fitto, fino al centro dello sterno.

***
Pino Maniaci lo conosco poco e non leghiamo tanto, come non riesco mai ad entrare in sintonia con tutti quei personaggi un po’ guasconi, che indossano una medaglietta e ottengono il massimo risultato di popolarità con il minimo sforzo di applicazione, grazie ai super poteri dell’antimafia.
Ha avuto grandi meriti, Maniaci, a Partinico e dintorni. Mi ricordo le battaglie sulla distilleria Bertolino, ad esempio, certi suoi servizi arrembanti.
Non ho mai sopportato un suo certo modo di fare giornalismo. Una volta mi trovai davvero in difficoltà con lui ad Agrigento. Si parlava di mafia, ovviamente, e lui esordì con una serie di battute, di dubbio gusto, per poi fare il pezzo forte del suo repertorio, parte finale di un monologo tutto intriso di un dialetto fastidioso: l’appello a Matteo Messina Denaro affinché si costituisse, fatto con queste parole: “MATTEO SOLDINO FIGLIO DI BUTTANA ARRENDITI!”. Applausi.
Ecco, non credo che sia giornalismo, questo, è un’altra cosa. Ho tentato di spiegarlo a Pino, ma proprio non ci siamo intesi. Negli anni ‘70 Peppino Impastato aveva un coraggio da leoni ad aprire il microfono di Radio Aut e dire: “La mafia è una montagna di merda”. Perché la mafia non esisteva (non c’era neanche il reato nel nostro codice penale), e perché i mafiosi ce li aveva a casa, accanto, dappertutto. Oggi se io alla radio dicessi: “Messina Denaro pezzo di merda” non sarei un giornalista, ma uno - forse un ciarlatano - che cerca il gioco facile della popolarità gridata, anziché la sfida della complessità: raccontare storie vere, prese per strada e non in Procura, comporre e decomporre i fatti, fare domande anziché sparare sentenze, non fermarsi all’evidenza delle cose, agli slogan.
Ovviamente questo mio giudizio su Maniaci, come altri su diversi campioni dell’antimafia mainstream, poteva essere espresso solo a bassa voce e con circospezione, dato che chiunque criticasse il simpatico Pino veniva tacciato di “mafieria”.
Io ho scritto “Contro l’antimafia” anche per questo, per liberarmi di tutti questi silenzi. Mi dava fastidio il tono di Maniaci (che ha fatto comunque anche un sacco di inchieste importanti, ripeto), come avesse avuto un titolo ad honorem di giornalista nonostante la fedina penale non proprio pulita pulita (un reato, se lo commette un campione dell’antimafia è un peccato di gioventù, un segno di necessità…), come la sua redazione fosse basata sul lavoro di volontari (se lavori per l’antimafia e non sei in regola mica è lavoro nero, è un grande volontariato per la salvezza delle anime belle della Sicilia) come gli avessero regalato videocamere e mezzi che a noi, giornalisti con le pezze al culo senza doppio lavoro e con la nostra libertà come unico prezioso patrimonio, non erano concessi, come la sua televisione avesse ottenuto corsie privilegiate nel passaggio al digitale. 
A Partinico erano e sono in tanti a pensare cose non proprio edificanti, sul suo conto. A cominciare dai politici, che ora scopriamo che di Maniaci avevano terrore. In molti sapevano, anche. Dei cani, dell’amante. Me lo avevano anche detto, sempre a bassa voce, sempre con la paura di farsi sentire. Perché se ti mettevi contro Telejato cominciava in televisione lo sputtanamento, dicevano. Chi ci è passato lo sa. C’è questo clima di terrore che certi campioni dell’antimafia riescono a creare, che ho visto a Partinico come altrove. Non puoi criticarli, mettere in dubbio il loro operato, cercare una contraddizione. Non puoi, proprio non puoi.
Ma, insomma, come se esce da questo "dolorificio" che è ormai diventata l'antimafia? Domani provo a dare qualche indicazione. Poche cose, cose di buon senso...
Giacomo Di Girolamo


Fonte: TP24.it

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