"La
mùria vi canciu pu' sapuniiii" (la morchia vi cambio per il sapone).
Questa frase era "abbanniata" (gridata a viva voce in mancanza di
megafono), dai compratori di morchia, che giravano per le strade del paese con
il carretto, nel periodo della molitura delle ulive. I compratori potevano
essere dei commercianti o gli
stessi "sapunara" (produttori di sapone).
Fino
agli anni '50-'60 era del tutto normale sentire gridare per le strade i
compratori, che richiedevano prodotti dell'agricoltura locale come morchia,
olio d'oliva, mandorle.
L'ulivo
generalmente produce un raccolto accettabile ad anni alterni.
E’
consuetudine, per la gente dei nostri paesi produttori di olive, di farsi la provvista
d’olio per due anni, nella “annata d’alivi” o “annata di carrica” (raccolto d’abbondanza),
perché più a buon prezzo.
L’olio
d’oliva uscito dal frantoio presenta ancora molte impurità, che con il tempo si
separano e decantano nel contenitore. Nel nostro dialetto si indica come
“funnurigghi”, ciò che resta nel fondo dei prodotti solidi, mentre si
chiamano “risidenzi (o risirenzi)” ciò
che resta, dopo la decantazione, dei prodotti liquidi; pertanto la muria è la
risirenza dell’olio.
La
morchia oggi è buttata via, ma l'industria chimica potrebbe riutilizzarla per
l'estrazione d’altro olio o per la fabbricazione dei saponi; una volta nel
nostro paese c'era una piccola fabbrica di sapone molle: la Ditta Sapienza , che
utilizzava queste impurità oltre ad oli
guasti.
La
muria era inoltre utilizzata nelle abitazioni per l’illuminazione; infatti,
messa nello “spicchiu” (lucerna), produceva, tramite “lu mecciu” (stoppino di
cotone) una fioca luce, considerata sufficiente per quei tempi.
Durante
la guerra del '40/45, era difficoltoso trovare il sapone per bucato a causa
degli eventi bellici e per il prezzo troppo elevato. Le massaie, aguzzando
l'ingegno, avevano imparato a fabbricarlo artigianalmente in casa utilizzando olio
guasto o la muria e grassi animali. La
ricetta era la seguente:
-
Acqua litri 3,5 + Olio litri 4 + grasso
di animali Kg. 3 + soda caustica Kg. 1.
Il tutto mescolato e fatto bollire per 5 ore.
Un’altra
ricetta, che ho trovata scritta in “La taverna dell’arsenale” di Pietro Maniscalco,
parla di morchia + cenere di scorza di mandorle (per la soda e potassa) con
cinque ore di cottura; inoltre, per ottenere un sapone verde, si aggiungevano
alla cottura pale di fichidindia.
Per
fare il bucato a mano era molto usato "lu lisciuni", a base di soda
caustica. La massaia, per risparmiare, produceva in casa un surrogato: "la
liscìa", utilizzando la cenere di
legna, che è molto ricca di soda e potassa.
Allora,
i lavaggi a mano erano eseguiti nella "pila", un apposito lavatoio di
legno provvisto di "stricaturi" (strizzatoio) cioè di un ripiano
provvisto di scannellature, su cui si strofinavano i panni. Il lavatoio poteva
anche essere di pietra “lu pilacciuni” posto nel cortile comune, vicino al
pozzo.
Vorrei tanto vedere un video
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