LU
NETTACESSI
Intorno
agli anni ‘40 la stanza da bagno, per come l’intendiamo oggi, non esisteva.
C’era in sua vece una rudimentale tazza, che finiva nel pozzo nero a
dispersione scavato nel sottosuolo; in superficie c’erano dei conci di tufo
murati a semicerchio con un buco al centro. In quelli più civili c'era "lu
coddu d'oca", un rudimentale WC di terracotta smaltato, che si restringeva
nella parte bassa e si scaricava direttamente, senza sifone, nel pozzo nero. La
sua ubicazione generalmente si trovava in uno sgabuzzino nel cortile o in un
magazzino.
In
un chiodo appeso al muro si appendevano delle strisce di giornali o carte da
pane: erano i precursori della
carta igienica; in un secchio c’era l’acqua,
riciclata dalla cucina o dal "vacili" (bacinella per lavarsi), per
buttarla nel cesso dopo l’uso.
Non
dobbiamo scandalizzarci troppo se eravamo così in basso in argomento, ma i
cattivi odori allora sconsigliavano di trattenerlo dentro casa.
Nei
piccoli paesi agricoli c’era l’immancabile “catasta di fumeri” (concimaia)
posta nel cortile di casa o nella “carrittaria” o in campagna, dove finivano i
rifiuti della cucina, gli escrementi degli animali e... delle persone.
Di
notte, per non uscire fuori, si usava “l urinali” (l'orinale) o "lu
cantaru” (cantere o pitale) detto anche “sillittu o sillettu". Esso era
fatto di terracotta smaltata e aveva quattro manici, per essere trasportato più
facilmente. Esso si chiamava anche "siggettu", perchè a forma di
"seggia" (sedia), con dentro "lu cantaru"; questa “sedia comoda”
si può ancora trovare in bella mostra nei musei, nei palazzi e nei castelli dei
nobili del passato. La sua invenzione risale al 1750. Nel romanzo il
"Gattopardo" di Tomasi di Lampedusa si parla del cantere e nel film
omonimo, nella famosa festa di ballo, in un’apposita stanza, facevano bella
mostra diversi esemplari.
Fra
i mobili della "cammara" (la stanza da letto di una volta), c'era “la
rinalera” (il comodino); detto così perché nella parte più bassa, dentro uno
scomparto, chiuso da uno sportello, conteneva “lu rinali” (l’orinale) per la
notte.
Nella
storia delle invenzioni si legge che il “water closet” moderno fu inventato nel
1775 dall’inglese Alexander Cumminas; il sifone, di cui è provvisto, non lascia
passare i cattivi odori. Da noi, questa tazza detta all’inglese, incomincia ad
usarsi dentro le abitazioni dopo gli anni ’40 e collocata, all’inizio, in uno
stanzino o in un sottoscala.
Volendo
completare la storia del bagno di casa nostra, esso con il trascorrere del
tempo ha assunto vari nomi: fu chiamato: "retrè", dal francese
“reterer”, "la commira", perché
permetteva di sedersi (di stare comodi); “usu”, ma anche: “latrina” e
“cessu”, dal francese “reducessé” .
Quando
le fognature ancora non esistevano o si trovavano soltanto nelle strade
principali, gli scarichi del gabinetto e di tutte le acque sporche finivano nel
pozzo nero. Purtroppo, con il tempo esso si riempiva e diventava indispensabile
lo svuotamento. In mancanza dell’autospurgo, di nuova generazione, si chiamava
il “nettacessi”, che lo eseguiva manualmente e con l’ausilio di qualche
recipiente manuale. Certamente si trattava di un lavoro umanamente poco
gratificante, ma allora c’era sempre qualche persona disposta, per necessità
economica, ad esercitare questo mestiere.
Il
materiale recuperato diventava un concime molto richiesto per l’agricoltura.
La
“vacilera”, mobiletto con “lu vacili” (bacinella), in possesso delle famiglie
meno povere, in un primo tempo ha trovato posto nella “cammara” (stanza da
letto); in seguito è stata collocata nello stanzino adibito a gabinetto. Questo
mobile poteva essere fatto di ferro battuto o di legno con sopra una lastra di
marmo, con il buco, per sistemarvi la bacinella. Nella parte sottostante c’era
il posto per la “cannata” (recipiente per l’acqua), e un secchio per l’acqua
sporca, da riciclare.
VITO
MARINO
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