Il classico castello di carta in terra di Sicilia. Quello costruito in modo fittizio per acciuffare i soldi della legge 488. La storia arriva da Salemi, dove a 11 anni di distanza dal fattaccio la Corte dei conti ha condannato alla Dimina Srl nella persona del curatore fallimentare e l’allora amministratore Gaspare Di Lorenzo a risarcire, in solido, al Ministero dello Sviluppo economico la somma di 3 milioni 150 mila euro circa. Ossia quanto illecitamente percepito come contributi pubblici, arrivati grazie al rubinetto della 488, per costruire uno stabilimento in contrada Bovara per la produzione e confezionamento di vini da tavola. I fatti risalgono al secolo scorso. Nel 1998 fino al 2002 la Dimina, allora amministrata da Gaspare Di Lorenzo (da sempre attivo nel campo vitivinicolo a Salemi) aveva ottenuto i contributi per mettere su l’azienda, con la classica promessa fatta allo Stato di creare posti di lavoro, acquisto macchinari e quant’altro. Il contributo era stato ottenuto in tre tranche: € 1.166.273,30 nel 1998; € 1.166.273,30 e € 816.391,31 nel 2002. Totale 3 milioni 150 mila euro circa. E “solo” dopo undici anni di distanza la Corte dei conti ha emesso la condanna. Il progetto prevedeva, appunto, la realizzazione di uno stabilimento per la produzione e imbottigliamento di vino da tavola. Opera che doveva essere realizzata entro 48 mesi, con l’eventuale proroga di altri 6 mesi, dalla data di ottenimento del contributo in conto capitale. Poi è arrivata la Guardia di Finanza, che ha scoperto che in realtà il denaro elargito attraverso la 488 non era stato utilizzato per realizzare il progetto ammesso a finanziamento. La truffa era stata architettata con i mezzi classici delle triangolazioni societarie, emissione di fatture false o gonfiate. Tutto per dare l’impressione allo Stato che ci fosse davvero un’azienda operativa. Invece l’impianto non era mai entrato interamente in produzione. Ad esempio nella sentenza della corte dei conti si legge che ”sono emersi rapporti fittizi volti alla sovrafatturazione e alla falsa fatturazione tra la società Dimina s.r.l. e le società Trinacria Costruzioni di Scuderi Vincenzo e Grammatico Paolo s.n.c. (cui erano state appaltate le opere di completamento dei fabbricati, la realizzazione di una riserva idrica, le opere di completamento esterne) e la società Eno Steel s.r.l. (cui erano stati appaltati i lavori di acquisto, installazione e collaudo delle attrezzature enologiche)”. La fatture emesse Eno Steel, in particolare si legge nella sentenza, che in base al contratto avrebbe dovuto fornire la vendita e l’installazione dell’impianto tecnologico, risultavano relative ad operazioni inesistenti per complessivi € 5.853.504,44. La società Eno Steel, oggetto a sua volta di un’ampia attività d’indagine delegata dalla Procura della Repubblica di Trapani nell’ambito di un altro procedimento penale, risultava essere una società cosiddetta “cartiera”, ovvero “un’impresa esistente solamente sotto il profilo formale che non aveva mai svolto alcuna attività commerciale in quanto rilasciava a terzi - tra cui anche la società Dimina - fatture per forniture di beni in realtà mai consegnati, mancando del tutto di una struttura operativa idonea a produrli e fornirli”.
Tutto ciò per ottenere tutte le tranche del finanziamento. Il procedimento della magistratura contabile arriva dopo l’inchiesta penale che si è conclusa nel 2009 con l’archiviazione. Il tutto perché nel frattempo è intervenuta la prescrizione dei reati contestati e la dichiarazione di fallimento dalla società indagata. Capita spesso infatti che i procedimenti per questi tipi di reati cadano in prescrizione. O anche quando arrivano ad un esito definitivo, le pene per chi truffa lo Stato, così come l’Unione europea, e ottiene illecitamente contributi pubblici, sono minime. Sono reati difficili da accertare, per tutta una serie di motivi quali la lentezza endemica della giustizia, la difficoltà nel districare il bandolo delle fatture false, delle movimentazioni di denaro da capogiro, triangolazioni a volte in paradisi fiscali. Soltanto in sede di giustizia contabile, quindi Corte dei Conti, può essere fatta “giustizia” dopo tanti anni. ma anche qui, chi froda per milioni di euro, spesso riesce a non restituire il maltolto. Periodicamente infatti la Corte dei Conti denuncia come sia difficile farsi restituire i soldi ottenuti illecitamente da aziende, che una volta beccate risultano essere nullatenenti o in fallimento.
Marsala.it
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