Molti
mestieri, che una volta erano indispensabili e molto comuni, oggi sono
scomparsi, perché l’industria del Nord li ha soppiantati. Uno di questi era “lu
curdaru”.
Lu
“curdaru” era l’artigiano che realizzava "corda, rumaneddu, e spagu",
di varia lunghezza e grossezza. La materia prima utilizzata era “la stuppa” (la
stoppa dal latino “stuppa”) cioè la fibra ricavata dalle piante di
agave, canapa e lino.
- La
"Zabbara" (agave) è una pianta grassa tipica del clima mediterraneo; durante
la civiltà contadina dalle foglie lunghe e carnose, si ricavavano filamenti molto
resistenti "lu zabbarinu", con cui si otteneva
spago, corde di varie
misure e la “curdina pi stenniri” per la massaia.
Con
lo spago si riempivano "li funna di li seggi” (il ripiano per sedersi delle
sedie). Inoltre, con le cordicelle opportunamente intrecciate a scacchiera, si
ottenevano "li rituna", che servivano per trasportare la paglia.
- Per
la pianta del lino, anche questa coltivata nel nostro territorio, ci sarebbe
molto da scrivere, perché lunga e laboriosa era la sua lavorazione per ottenere
la fibra; infatti, un proverbio siciliano diceva: “patìri li vai di lu linu”. Così,
dopo la cardatura, per le varie lavorazioni successive occorreva molta acqua, fornita
dai fiumi Delia, Modione e Belìce, che attraversano il nostro territorio.
- La
canapa non si coltivava nelle nostre campagne, la fibra si importava. Dalle
fibre di canapa si poteva ottenere pure un tessuto rustico “lu cannavazzu”, che
serviva per confezionare sacchi.
Quando
una persona non aveva carattere si diceva che era una “bannera di cannavazzu”. La
stoppa, si usava come guarnizione idraulica, come miccia per le artiglierie e
gli ordigni esplosivi; inoltre, come stoppino per “lu spicchiu” (lucerna) e per
le candele.
Il
“curdaru” svolgeva il suo lavoro all’aperto in piazze e spazi pubblici di
periferia, perché aveva bisogno di
molto spazio, essendo le corde ottenute
molto lunghe. Il suo lavoro era molto caratteristico e apparentemente semplice:
un ragazzo faceva girare con una manovella una grossa ruota e questa a sua
volta con dei collegamenti faceva girare velocemente delle piccolissime ruote
con un uncino al centro (animmula); animmula era anche l’arcolaio della
casalinga, che serviva per raccogliere il filo da una matassa verso il
gomitolo. Siccome l’animmula gira velocemente, per paragone un proverbio
diceva:. “Firria comu ‘n animmula” = gira molto veloce.
Il
cordaio, incominciando dall’uncino, camminando all'indietro, andava cedendo le
fibre che teneva sotto il braccio, che, per l'effetto rotatorio, si
intrecciavano e diventavano corde, rumaneddu o spago. Un antico proverbio
siciliano dice. "iri nnarrera comu lu curdaru" (andare indietro, in
senso metaforico, come il cordaio).
VITO
MARINO
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