La morte che ogni giorno bussa incessante alle case dei siriani, malvagia com’è, è persino venuta in Sicilia a prendersi una figlia 49enne di quella terra. Povera donna, si credeva al sicuro ora che si era lasciata alle spalle l’inferno della guerra e poi quello della traversata su un barcone assieme al marito e ai loro due figli.
E sperava di poter fare ripartire dalla nostra Isola una vita migliore, anzi ne era certa: perché peggio di quanto già le era toccato in sorte, non poteva di sicuro trovare. Eccetto, appunto, la morte, due giorni fa nell’ospedale di Siracusa dov’era subito stata portata al suo arrivo in Sicilia, il 28 agosto, per un arresto cardiocircolatorio: chissà, forse la troppa gioia per l’arrivo, oppure proprio gli stenti della traversata.
Eppure quella donna continuerà a vivere nella nostra Isola: il suo fegato e i suoi reni, ieri, sono stati trapiantati a Palermo e Catania. Suo marito, dando un segnale di grande altruismo al popolo che li aveva accolti, pur nella sofferenza per la perdita della propria consorte ha dato il consenso alla donazione degli organi. Così superando anche il proprio credo religioso islamico. Il Papa, nella sua recente visita a Lampedusa, ha lanciato un monito contro la «globalizzazione dell’indifferenza». Questi sfortunati profughi siriani ci hanno mostrato l’altra faccia del discorso di Francesco: la cultura della solidarietà.
Giuseppe Anastasio
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