Torna a parlare, e a far parlare di sé, Salvatore Cuffaro, meglio conosciuto con il diminutivo Totò, l'ex Governatore siciliano detenuto nel carcere romano di Rebibbia da quasi tre anni.
"Carissimo Luigi, devo confessarti che sono molto stanco, anche se so che devo trovare le forze e le energie necessarie ad affrontare questa rimanente parte di pena che devo ancora scontare" - inizia così la lettera che Cuffaro ha inviato al periodico "Tempi" - la stessa testata a cui Silvio Berlusconi, all'inizio del mese di ottobre, inviò una lettera per
spiegare le motivazioni che lo spingevano a imporre un termine al Governo Letta.
"La mia cella, - continua Cuffaro - sede obbligata della mia riflessione, faccio che non sia il simulacro della mia anima, ma il santuario della mia coscienza. E in fondo ho scoperto che "le sbarre" sono le meno inanimate tra tutte le cose che ci offre e a cui ci obbliga il carcere".
Cuffaro non manca di sottolineare nella lettera anche le condizioni degli uomini che si trovano in carcere: "Lottiamo, non ci arrendiamo, speriamo che prima o poi lo Stato, e per lui le carceri, si rendano conto che le storie degli uomini detenuti non sono solo le storie di corpi ma sono soprattutto storie di anime. I corpi possono essere "custoditi e ristretti" ma le anime vanno rispettate nella loro essenza umana e spirituale".
"Guardo e vedo il mio pezzo di cielo di giorno e mi aiuta, e durante l'ora d'aria, guardo la rimanenza di esso" - continua Cuffaro - "lo vedo tutto intero, il carcere non può impedirmi lo sguardo verso l'alto almeno questo è libero, non circoscritto".
Totò Cuffaro, Presidente della Regione Sicilia dal 2001 al 2008, è stato condannato nel 2011 a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e violazione del segreto istruttorio nell'ambito del processo "Talpe alla Dda". Dal gennaio del 2011 sta scontando la sua pena all'interno del carcere romano di Rebibbia.
Nel 2011 Cuffaro commentò così la sua condanna: "Sono stato un uomo delle istituzioni e ho un grande rispetto della magistratura che è un'istituzione, quindi la rispetto anche in questo momento di prova. Adesso affronterò la pena come è giusto che la affronti un uomo delle istituzioni che viene chiamato a sopportare una prova. Lo lascerò come insegnamento ai miei figli, devono avere fiducia nella giustizia e nelle istituzioni".
marsala,tp24.it
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