Era stato ricoverato per le ferite riportate nel soccorso
alla fabbrica di fuochi d’artificio esplosa a Pescara 3 mesi fa
Morto per svolgere qualcosa in più del proprio dovere. Morto mentre l’apocalisse di esplosioni, una dopo l’altra, era ancora in corso. Ma se sei un vigile del fuoco, e se devi salvare delle vite, in quei momenti non è che stai a pensare ai pericoli che corri. Ti ci infili in mezzo. Rischi. Non hai nemmeno il tempo di sperare che vada bene. A Maurizio Berardinucci è andata male. Ha perso la vita nell’intervento in quella fabbrica di fuochi d’artificio disintegrata il 25 luglio a Pescara . Ci furono quattro morti. Numero ora da aggiornale a cinque. Sempre che un senso ce l’abbia il ricordo di questa contabilità riguardante vittime di incidenti sul lavoro e norme di sicurezza violate (sulle cause dello scoppio c’è un’inchiesta della magistratura in corso).
PICCHETTO D’ONORE - Forse Maurizio è stato un eroe, se essere eroi significa morire nello
svolgimento de l proprio dovere. Ma questo lo si è appreso esattamente 3 mesi dopo, quando nelle redazioni è arrivata la notizia del suo decesso al policlinico Gemelli di Roma, dov’era ricoverato in prognosi riservata. Sabato 2 novembre a Pescara, dov’era nato e aveva sempre vissuto, ci sono stati i funerali. Lutto cittadino, centinaia di persone alle esequie, il feretro portato a spalla da un picchetto del 115. Dolore, commozione, il suono straziante delle sirene che ricorda un pompiere, un compagno di squadra e un amico, che non c’è più. Il vigile del fuoco (nel corpo dal 1985, da ausiliario e poi da effettivo) lascia moglie e tre figli.
COME IN UN BOMBARDAMENTO - Difficile , in quell’ecatombe del 25 luglio , dare il giusto peso a un’agenzia di stampa in mezzo a decine di altre che raccontavano scene di devastazione e responsabilità da accertare. Difficile comprendere subito il gesto di coraggio di quella squadra del 115. «Feriti cinque pompieri, uno grave», c’era scritto.
Ma quella mattina, in quelle ore, l’attenzione era tutta per i morti, quattro, tra cui un ragazzo di vent’anni. Tutti componenti della famiglia Di Giacomo, titolare dell’azienda, una tra le più note in Italia. In quel disastro, dagli effetti tanto simili a quelli di un bombardamento a tappeto, i soccorsi furono tempestivi. Il posto però era ancora a rischio: solo che subito non si poteva prevederlo. Tra i primi ci fu Maurizio, 47 anni, che arrivò con l’autoscala da Pescara. Cielo azzurro tutto oscurato da una colonna di fumo gigantesca. Paesaggio già napalmizzato, incenerito.
POMPIERI TRAVOLTI - I pompieri scesero dal mezzo per prestare soccorso a chi viveva nei pressi della fabbrica e a quei lavoratori che, al primo boato, si erano rifugiati nel bunker di sicurezza. Forse avranno incontrato il giovane Alessio, appunto vent’anni, che stava avvertendo chiunque fosse nelle vicinanze, tra cui una pattuglia di carabinieri: «Fermatevi, qui è ancora pericolosissimo». Solo che il primo a fare dietro front fu proprio lui, per andare a prendere la nonna. E poi ancora indietro, per prestare aiuto a zii e fratelli persi di vista tra fiamme , fumo e scoppi. Che inghiottirono anche lui.
ALTRE ESPLOSIONI - Ad un tratto, in un’altra delle esplosioni, probabilmente la seconda di una serie di quattro, polverizzò un’abitazione. Muri e pietre colpirono e travolsero la squadra di pompieri. Tutti sotto le macerie. Si capì subito che Maurizio Berardinucci era grave. Fratture, traumi interni. Lo portarono al Gemelli di Roma, per cure specialistiche. Sembrava migliorasse: invece è morto, tre mesi dopo. Solo allora si è scoperto, per chi non lo conosceva, che quel pompiere era un eroe.
corriere.it
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