ROMA - "Sono un uomo disperato. Volevo colpire loro, i politici, ma so che non ce l'avrei mai fatta". Parole gelide e taglienti quelle che Luigi Preiti consegna al procuratore aggiunto di Roma Pierfilippo Laviani e al pm Antonella Nespola. Più che una confessione, un testamento "di un uomo che non ha più nulla da perdere". Nell'interrogatorio il 49enne, che ha seminato panico e sangue davanti ad uno dei simboli inviolabili della nostra
Repubblica, non cerca affatto di difendersi. Ammette tutto senza reticenze. "Ho pianificato ogni cosa venti giorni fa -racconta ai due magistrati romani- ho studiato tutto a tavolino. Volevo fare un gesto eclatante in un giorno importante. La pistola l'avevo già comprata quattro anni fa al mercato nero ad Alessandria. Tutto era previsto, tutto". Nulla, nel piano di Preiti, era lasciato al caso. Nulla era affidato alla follia. L'epilogo però non è stato quello da lui architettato. "Volevo uccidermi, suicidarmi -confessa ai magistrati Preite- ma avevo sparato tutti i colpi contro i carabinieri e per me non ne erano rimasti più". Dunque solo la fine va storta nel suo piano. Il resto fila tutto liscio. I carabinieri, ammette senza tradire pentimento, sono un obiettivo 'di ripiego'. "Io volevo colpire i politici -dice senza mezzi termini e freddamente- ma sapevo che non avrei mai e poi mai potuto raggiungerli. Allora ho pensato al palazzo, a chi ci sta davanti". Così è venuto a Roma, ha scelto un anonimo hotel della stazione Termini, forse ha indossato il vestito più elegante che aveva per sembrare un uomo distinto. Del resto nei piani di Preiti oggi doveva essere anche l'ultimo giorno della sua vita. "Non ce l'ho con nessuno -ha ripetuto ai pm- io non odio nessuno. Ho solo la disperazione di un lavoro perso, la separazione, essere a carico dei propri genitori a questa età". La disperazione di non potere provvedere "a mia figlia". Una confessione fredda, lucida, senza pentimenti. Una confessione che a tratti suona come un'accusa tagliente "perché -ripete ai magistrati e a sé stesso- sono un uomo che non ha più nulla da perdere".
Repubblica, non cerca affatto di difendersi. Ammette tutto senza reticenze. "Ho pianificato ogni cosa venti giorni fa -racconta ai due magistrati romani- ho studiato tutto a tavolino. Volevo fare un gesto eclatante in un giorno importante. La pistola l'avevo già comprata quattro anni fa al mercato nero ad Alessandria. Tutto era previsto, tutto". Nulla, nel piano di Preiti, era lasciato al caso. Nulla era affidato alla follia. L'epilogo però non è stato quello da lui architettato. "Volevo uccidermi, suicidarmi -confessa ai magistrati Preite- ma avevo sparato tutti i colpi contro i carabinieri e per me non ne erano rimasti più". Dunque solo la fine va storta nel suo piano. Il resto fila tutto liscio. I carabinieri, ammette senza tradire pentimento, sono un obiettivo 'di ripiego'. "Io volevo colpire i politici -dice senza mezzi termini e freddamente- ma sapevo che non avrei mai e poi mai potuto raggiungerli. Allora ho pensato al palazzo, a chi ci sta davanti". Così è venuto a Roma, ha scelto un anonimo hotel della stazione Termini, forse ha indossato il vestito più elegante che aveva per sembrare un uomo distinto. Del resto nei piani di Preiti oggi doveva essere anche l'ultimo giorno della sua vita. "Non ce l'ho con nessuno -ha ripetuto ai pm- io non odio nessuno. Ho solo la disperazione di un lavoro perso, la separazione, essere a carico dei propri genitori a questa età". La disperazione di non potere provvedere "a mia figlia". Una confessione fredda, lucida, senza pentimenti. Una confessione che a tratti suona come un'accusa tagliente "perché -ripete ai magistrati e a sé stesso- sono un uomo che non ha più nulla da perdere".
Fonte: livesicilia.it
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