LU
CHIAVITTERI o FIRRARU
Era
il fabbro ferraio, che lavorava il ferro per costruire tutti gli accessori
metallici per gli infissi: “firriggiara, succuli, lucchetti, toppi (serrature),
chiavi, chiavini”; ma costruiva anche gli attrezzi per l'agricoltura: “zzappa,
zzappuni marsalisi, zzappuni strittu, zzappudda, rasula, faci, birrina,
cafuddaturi (o chiantaturi), accetta, rastreddu, vommara, rincigghiu,
ancinedda, furlana, furlanedda, trirenti, furcali” e per il muratore: “martiddina,
mannàra, pala, cardarella, zappa per impastare, cazzola”, nonché “firrati” (ringhiere) per balconi,
ringhiere e passamano per le scale, lampadari; inoltre “azzariava” (aggiungeva
un pezzetto di ferro acciaioso) le zappe e tutti quegli attrezzi di campagna e
di muratori che si consumavano facilmente lavorando. Fino agli anni 40 circa
faceva anche i chiodi rudimentali per il falegname e per il maniscalco.
I
più bravi riuscivano a costruire i tutto il necessario per i carretti “fusi,
canceddi, rabischi”.
Allora
non c’erano saldatrici e i vari pezzi di ferro si univano con dei perni
incandescenti che si infilavano in buchi già preparati e, quindi, ancora
incandescenti, ribattuti.
La
sua “putia" (officina) era molto caratteristica: nera di fuliggine con la
"forgia" (fucina a carbon
fossile) sempre accesa. La sonante
incudine, il banco ed il trapano, completavano i grossi attrezzi indispensabili
al suo lavoro. Una scena molto particolare era la battitura del ferro
incandescente sull'incudine. Il fabbro, mentre con la sinistra tratteneva il
ferro rovente con delle lunghe pinze, con la destra dava il suo primo colpo con
il martello, seguiva il colpo con la mazza dei suoi picciotti aiutanti (anche
tre), che, in maniera alternata e ritmica, colpivano a loro volta il ferro
rovente. Si trattava di un ritmo scandito a tempo musicale ben determinato,
indispensabile per non colpirsi uno con l’altro.
VITO
MARINO
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