CUSTURERI
= Era il sarto (dal francese couturier). I vestiti e i cappotti “lesti e boni”
(confezionati) sono esistiti da sempre ma, siccome costavano molto, mentre la
mono d’opera del sarto era bassa, la gente, per risparmiare, preferiva comprare
la stoffa e farseli cucire “fatti apposta” (su misura). Inoltre, un vestito o
un cappotto già usato, ma di buona qualità, allora non si buttava, ma si
faceva rivoltare con poca spesa ottenendo un vestito quasi nuovo. Infine, i vestiti danneggiati da strappi o da qualche buco nei pantaloni, erano regolarmente riparati e rattoppati. Per riparare vestiti buoni ma con qualche strappo accidentale, c’erano le suore che riuscivano a rimettere a posto “trama e ordito” e non lasciavano traccia del danno verificatosi.
faceva rivoltare con poca spesa ottenendo un vestito quasi nuovo. Infine, i vestiti danneggiati da strappi o da qualche buco nei pantaloni, erano regolarmente riparati e rattoppati. Per riparare vestiti buoni ma con qualche strappo accidentale, c’erano le suore che riuscivano a rimettere a posto “trama e ordito” e non lasciavano traccia del danno verificatosi.
I
contadini ed i braccianti, per la qualità del loro lavoro si facevano
confezionare vestiti con stoffa di albagio (un panno robusto e rozzo) oppure di
“tila d’Africa” o “coloniali” fatta di cotone spesso.
Durante
la guerra mancava la stoffa, mentre i sarti soffrivano la fame per mancanza di
lavoro. Molte persone, aguzzando l’ingegno si facevano confezionare il cappotto
con delle coperte militari di lana, preventivamente colorante anche con colori casalinghi. Quando si riusciva a trovare qualche
paracadute, che allora erano fatti di seta, era assicurato un vestito per il
matrimonio della sposa.
La
casalinga per risparmiare faceva una certa concorrenza al sarto. Rattoppava
calze, pantaloni e vestiti, ma sapeva anche tagliare e cucire “causi di tila”
(pantaloni di tela = mutande) per uomo e per donna. Si chiamavano così perché
avevano la forma di pantaloni corti. In mancanza di elastici metteva dei nastri
o cordoncini da legare a “scocca”.
Due
proverbi siciliani in merito dicevano:
-
Megghiu ‘na tinta
pezza chi un bonu pirtusu-
-
Sarva la pezza pi quannu
arriva lu pirtusu.
VITO
MARINO
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