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mercoledì 26 dicembre 2012

Gli Ebrei e la festa di Santo Stefano.


Santo Stefano è stato il primo cristiano ad avere subito il martirio per difendere la nuova fede, e per questo viene detto protomartire. Egli fu linciato dagli ebrei di Gerusalemme intorno al 36 dell’era cristiana, alla presenza di Paolo di Tarso non ancora convertito al cristianesimo. Il contrasto tra il nascente cristianesimo e la religione tradizionale ebraica in quel tempo si andava acuendo e si preannunciava già la definitiva separazione. Santo Stefano è la figura che simboleggia l’inasprirsi di tale... contrasto: egli viene ucciso dagli ebrei e non dai pagani. Questa particolare vicenda del Santo ci spiega una consuetudine vigente a Marsala nel Medioevo. I nostri antenati avevano escogitato un modo assai singolare di ricordare il martirio di Santo Stefano. Il 26 dicembre, giorno in cui la chiesa cattolica festeggia il primo martire della nuova fede, i cristiani costringevano i giudei marsalesi a recarsi in chiesa per ascoltare delle prediche che avevano lo scopo di farli convertire al cristianesimo. Pare che la pratica non avesse molto successo, ma quel che importava non era tanto il successo dell’operazione quanto l’umiliazione dei concittadini di fede ebraica a cui miravano alcuni predicatori rozzi e intolleranti. Per sovrappiù imponevano agli ebrei di portare con sé la Torah, il libro sacro che usavano nelle loro cerimonie religiose. Poi all’uscita dalla chiesa la manifestazione raggiungeva il clou: come Santo Stefano era stato oltraggiato e lapidato dagli ebrei, allo stesso modo i cristiani marsalesi, con un comportamento poco consono con lo spirito cristiano da cui si voleva che nascesse quel festeggiamento, insultavano e prendevano a sassate gli ebrei. Questi per tutto il Trecento, alle prese con la peste e la guerra civile che infierivano in Sicilia, sopportarono l’offesa, ma quando con l’avvento del re Martino la pace e l’ordine tornarono nell’isola, chiesero al sovrano che fosse abrogata quella pratica. Nel mese di gennaio del 1400 il re Martino ordinò che quella consuetudine dovesse essere abolita come contraria al diritto, alla regola dei buoni costumi e alla società umana. Martino volle inoltre che il suo editto fosse reso pubblico nella città di Marsala per mezzo di un banditore e che i trasgressori, oltre ad andare incontro all’indignazione del re, sicuramente grave ma poco incisiva, dovevano anche pagare una multa di onze quattro. I cristiani, quando fu loro mostrato il documento regio, vollero che fosse consegnato al castellano Giovanni Mureglas, il quale, evidentemente per fare un dispetto, non volle più restituirlo agli ebrei, che dovettero richiederne una copia alla regia curia. Nel contempo i cristiani fecero presente al re Martino che l’obbligo per gli Ebrei di recarsi in chiesa e di portare la Torah derivava da un privilegio del re Federico III e da un’antica consuetudine. I rappresentanti della comunità giudaica obiettarono che quell’obbligo era contrario alla legge divina e che non lo potevano adempiere senza un loro rischio personale e che comunque ne erano stati sciolti dal privilegio del re del gennaio 1400. Martino, visto che la questione tendeva a trasformarsi in una controversia religiosa, preferì tirarsene fuori affidandone la risoluzione all’inquisitore contro l’eretica pravità. Questi ribadì l’obbligo per gli ebrei di assistere alle prediche conversionistiche, ma ne ridusse la portata: quelli dovevano soltanto ascoltare le prediche e i cristiani dovevano impegnarsi a rispettarli all’uscita dalla chiesa. La consuetudine tuttavia durò ancora nel tempo tanto che tra le richieste di grazie presentate nel 1459 in Barcellona dai rappresentanti delle comunità giudaiche siciliane al re Giovanni una chiedeva che “nullo Iudeo di lu dictu regno né in generali né in particulari pocza essiri constricto de yre audire predica di christiano et maxime la dicta Iudeca de Marsala”. Il re, probabilmente reso benevolo da qualche graziosa donazione, come era prassi, accolse la richiesta, ma il provvedimento stranamente fu reso esecutivo in Sicilia soltanto nel 1467, venticinque anni prima della cacciata degli ebrei dalla Sicilia.
Giovanni Alagna

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