Ndrangheta e fede sembrano termini inconciliabili, in realtà restano tracce di rapporti inconfessabili tra la Chiesa e le mafie.
«Don Salvatore Santaguida, aveva la consapevolezza degli omicidi in corso di programmazione e prima che venissero commessi». Pesa come un macigno sulla Chiesa calabrese quanto sostenuto dalla Dda di Catanzaro in merito alla vicenda del parroco di Stefanaconi. E, purtroppo, conferma quanto sostenuto da molti sul legame a volte fin troppo stretto e non solo di facciata o di convenienza che ha unito la Chiesa alla criminalità organizzata, specie nelle regioni del Sud.
A dipanare l'intricata matassa per consentire
un'adeguata comprensione della questione, giunge in soccorso un saggio di Isaia Sales, intitolato appunto «Chiesa e mafie», pubblicato all'interno del nuovo "Atlante delle mafie" edito da Rubbettino a cura di Enzo Ciconte, Francesco Forgione e lo stesso Isaia Sales. «Fino agli anni '70 - ricorda Sales - la Chiesa non ha mai prodotto un documento ufficiale in cui venisse condannata la mafia, nonostante fosse passato più di un secolo dalla nascita e affermazione del fenomeno. Le cose sono cambiate lentamente con le omelie del cardinale Pappalardo, con lo storico appello di Giovanni Paolo II ad Agrigento e, soprattutto con il sangue dei sacerdoti martiri don Giuseppe Puglisi e don Giuseppe Diana. Ma al di là di queste straordinarie eccezioni l'atteggiamento della Chiesa, specie da parte delle autorità locali, è stato improntato al silenzio. D'altro canto non vi è stato finora covo di boss all'interno del quale non facessero bella mostra di sé bibbie, corone del rosario, statue e immagini sacre. Può apparire certo superstizione eppure nessuno ha mai vietato ai boss i sacramenti o funerali solenni o, addirittura, di fare da padrini a battesimi e cresime. D'altro canto appare singolare che la mafia abbia prosperato proprio nelle regioni a più alta partecipazione cattolica come la Calabria, la Sicilia, la Puglia e la Campania».
un'adeguata comprensione della questione, giunge in soccorso un saggio di Isaia Sales, intitolato appunto «Chiesa e mafie», pubblicato all'interno del nuovo "Atlante delle mafie" edito da Rubbettino a cura di Enzo Ciconte, Francesco Forgione e lo stesso Isaia Sales. «Fino agli anni '70 - ricorda Sales - la Chiesa non ha mai prodotto un documento ufficiale in cui venisse condannata la mafia, nonostante fosse passato più di un secolo dalla nascita e affermazione del fenomeno. Le cose sono cambiate lentamente con le omelie del cardinale Pappalardo, con lo storico appello di Giovanni Paolo II ad Agrigento e, soprattutto con il sangue dei sacerdoti martiri don Giuseppe Puglisi e don Giuseppe Diana. Ma al di là di queste straordinarie eccezioni l'atteggiamento della Chiesa, specie da parte delle autorità locali, è stato improntato al silenzio. D'altro canto non vi è stato finora covo di boss all'interno del quale non facessero bella mostra di sé bibbie, corone del rosario, statue e immagini sacre. Può apparire certo superstizione eppure nessuno ha mai vietato ai boss i sacramenti o funerali solenni o, addirittura, di fare da padrini a battesimi e cresime. D'altro canto appare singolare che la mafia abbia prosperato proprio nelle regioni a più alta partecipazione cattolica come la Calabria, la Sicilia, la Puglia e la Campania».
Merita di essere riportata per intero la conclusione del saggio: «La Chiesa non può tirarsi fuori dal problema mafioso: le mafie sono anche un suo problema, non solo dello Stato italiano. Sulla mafia la Chiesa non è stata maestra di vita». Ma le complicità del passato non reggono più. Ogni anno a Pasqua, nella zona di Vibo Valentia va in scena l’Affruntata (che significa “incontro” in calabrese), una rappresentazione di carattere religioso, assai popolare, nella quale le statue di Giovanni Battista, del Cristo e della Madonna vengono portate in corsa per le vie della città finché, dopo qualche giro dell’abitato, non si incontrano. Essere uno dei portatori è ritenuto grande onore, per decidere chi porterà la determinata statua si utilizza un sistema d’asta, detto “incanto”. Chi fa l’offerta più alta “vince”. Nel paesino di Sant’Onofrio l’”incanto” che stabilisce quali saranno i portatori delle statue è gestito dalla “Congrega del santissimo Rosario”. Per decenni l’onore è toccato a picciotti e capobastone, mafiosi locali che il vescovo della diocesi, monsignor Luigi Renzo, aveva infinte volte tenuto fuori lanciando un monito rivolto a parroci e confraternite: via i pregiudicati dalle manifestazioni religiose. Alle disposizioni diocesane si adeguarono la parrocchia e la confraternita di Sant’Onofrio che avevano interrotto la pratica dell’incanto dei santi.
Nel 2011 ad essere investiti dalla parrocchia di Sant’Onofrio del compito di portare le statue nella tradizionale Affruntata sono stati il presidente e l’allenatore del Sant’Onofrio Calcio, Franco Petrolo e Luigi Naccari, dopo che il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza. Già Il Dio dei mafiosi (edizioni San Paolo) partiva da una domanda semplice e dirompente: come è possibile che un uomo invochi su di sé la benedizione di Dio appena prima di accingersi a sciogliere nell’acido la sua vittima? La religiosità mafiosa rende problematica l’idea che abbiamo del cristianesimo e fa sorgere un inquietante sospetto: che il cristianesimo si mostri infine “adatto” ad assecondare una mentalità schizofrenica per la quale non è assurdo estorcere denaro e al contempo fare beneficenza, uccidere a sangue freddo ma non di venerdì, eseguire ogni sorta di imprese criminali e ringraziare Dio della loro riuscita.
Spiega l'autore Augusto Cavadi:"La teologia ufficiale cattolica, con la sua enfasi sull’obbedienza da tributare alle autorità civili e religiose, è de-responsabilizzante al punto che l’omicida (sia esso il mafioso o il soldato) sente in coscienza che la colpa dell’omicidio va addebitata non a lui ma al suo mandante, E invece la rivoluzionarietà del Vangelo è nella convinta proclamazione che non ci sono in terra né padri né maestri; che siamo tutti fratelli e figli dell’Unico che ci trascende e ci abbraccia". Inoltre, in alcuni, evidenzia Cavadi, "abbiamo avuto preti a capo di cosche mafiose, ma molto più spesso abbiamo avuto e abbiamo preti che camminano a braccetto con mafiosi, con imprenditori collusi con la mafia, con politici condannati per favoreggiamento di mafiosi da tribunali statali dopo processi pubblici regolari". Questo è del tutto intollerabile e, sino a quando continuerà a registrarsi, "la Chiesa cattolica consumerà nel Meridione un lento suicidio morale e materiale: si ridurrà a rifugio residuale di vecchiette credulone e di seminaristi ignorantelli, la teologia cattolica non produce la mafia ma la teologia para-mafiosa è prodotto e sintomo, oltre che concausa, di una Chiesa filo-mafiosa".
Giacomo Galeazzi - La Stampa
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